Della mia recente vacanza in Sicilia vorrei riuscire a trasmettervi suoni, odori, colori e sapori ma, dato che certi limiti della comunicazione non sono ancora stati superati, posso solo tentare di offrirvi descrizioni sommarie nella speranza di solleticare quel gusto della scoperta che magari vi spingerà, se ancora non l’avete fatto, a partire per una terra che merita di essere scoperta poco alla volta, sempre più in profondità, talmente ricco e suggestivo è il suo bagaglio di offerte.
Girandola,
pare di immergersi dentro un quadro impressionista o tra le pagine dure e vere
di verghiana memoria.
In
sette giorni ho riempito gli occhi di panorami mozzafiato.
Ho iniziato
prendendo confidenza con le acque cristalline e le spiagge di ghiaia fine di Roccalumera per poi restare affascinata
dalla raffinata eleganza di Taormina.
Qui mi sono tuffata nella storia con la visita all’antico teatro greco: un
teatro affacciato sul mare, con suggestioni ed echi di un antico splendore che
escono da ogni sua più piccola pietra.
Un
arancino delizioso agli spinaci presso lo “Strit Fud” e il più goloso cannolo
mai assaggiato alla Pasticceria del corso è stato il bottino alimentare della
giornata a Taormina.
Mentre per il reparto “profumi e balocchi” non potevo non
cedere all’aroma agrumato e selvaggio della sua acqua profumata. Ogni spruzzo
di quel profumo mi riporterà con la memoria al centro di quella piazzetta
pavimentata a scacchi bianchi e neri e affacciata sul mare. Da quella piazzetta, dove
tra l’altro c’è un bar ricco di storia dove Goethe passava il tempo a bere il
suo caffè, si può ammirare la costa del Mar Ionio, la Baia di Naxos e il possente
Vulcano Etna.
Nei vicoli si susseguono botteghe, ristoranti con vedute panoramiche, locali da dove provengono svariati sottofondi musicali, da quelli melodici a quelli in chiave jazzistica. Può capitare di ascoltare le note semplici di un anonimo artista di strada o quelle più colte delle ballate liriche, spesso in programma nel cartellone del teatro antico.
Scendendo da Taormina con la funivia mi sono
fermata per un bagno presso l’Isola bella, famosissimo e
suggestivo isolotto, ricoperto da una rigogliosa vegetazione e istituito a
riserva naturale. La lingua che collega la spiaggia di Mazzarò all’isola (che
dall’alto pare di sabbia ma che in realtà è di ghiaia) è un invito a tuffarsi
nell’acqua cristallina.
A
Catania, appena arrivata, mi sono
immersa nella realtà caotica, ma affascinante dei mercati popolari: gente che
ti vuole far assaggiare “la qualunque”, che ti mette in mano una cozza
spruzzata di limone e pare voglia farti uscire dalla bambagia per svezzarti con
la legge dell’adattamento.
Girando per la città ho vissuto i forti contrasti di una città che ho associato per alcuni aspetti a Napoli e per altri a Lecce. La compostezza di alcune zone, come quelle adiacenti il rigoglioso giardino Bellini e la zona universitaria si scontra con l’aspetto aggressivo di molte costruzioni periferiche, nate dal nero della pietra lavica e in molti casi non ultimate e la desolazione di certe spiagge che l’incuria umana ha reso degli immondezzai all’aperto.
Girando per la città ho vissuto i forti contrasti di una città che ho associato per alcuni aspetti a Napoli e per altri a Lecce. La compostezza di alcune zone, come quelle adiacenti il rigoglioso giardino Bellini e la zona universitaria si scontra con l’aspetto aggressivo di molte costruzioni periferiche, nate dal nero della pietra lavica e in molti casi non ultimate e la desolazione di certe spiagge che l’incuria umana ha reso degli immondezzai all’aperto.
Sulla città di Catania domina, assoluto, l’Etna. Spesso l’afa non ne rende visibili completamente i profili, ma vi assicuro che anche i contorni appena accennati sono in grado di suscitare un misto di timore e riverenza, come quello che si proverebbe davanti ad un mostro addormentato sulla montagna, dal duplice fare minaccioso e protettivo.
C’è
stata anche la visita a qualche set cinematografico di tutto rispetto, come
quello al piccolo borgo di Savoca,
arroccato su un crinale a 300
metri di altitudine dove, in piazzetta, ho potuto
gustare una deliziosa granita al limone (con tanto di biscottino ai semi di
sesamo) presso il Bar Vitelli dove furono girate alcune scene della saga cult
de “Il padrino” e che ancora oggi trasmette ab
libitum la colonna sonora del film che lo ha reso celebre in tutto il mondo.
E
poi come scordare gli scorci offerti da Tindari?
Famosa per il suo Santuario con la
Madonna nera, situato sulla cima più alta del paese a
strapiombo sul mare, è una località suggestiva anche per le sue lingue di sabbia
situate alla base del promontorio, alcune delle quali raggiungibili solo via
mare.
Proprio
in quelle acque mi sono donata la nuotata più bella e più lunga: intorno a me
solo acqua trasparente, spiagge incontaminate, il suono delle onde e, citando i
versi di una canzone di Irene Grandi, “la voglia di non tornare più” (a riva…aggiungo
io).
Dopo
la nuotata, tappa d’obbligo al Bar del Pellegrino: arancino al pistacchio,
specialità del posto, accompagnato come sempre dal sorriso aperto e dalla
cortesia del personale. Le persone con le quali mi sono trovata ad interagire
(in albergo, nei bar, nei ristoranti, all’interno dei siti archeologici, ecc.)
si sono mostrate sempre disponibili a fornire chicche e curiosità sulla loro
terra. La voce di chi vive i posti vale molto di più di qualunque altra voce
enciclopedica.
Da
ultimo, come in un quadro emozionale posso tentare di sfumare i colori di
alcune esperienze fatte tra una gita e l’altra: l’energia mattutina che mi
spingeva a correre lungo il mare di Roccalumera, quando la linea dell’orizzonte
pare riconciliare ogni pensiero con la realtà;
la commozione provata durante la
visita al Parco Letterario dedicato a Salvatore Quasimodo dove un ragazzino
sveglio ed appassionato ci ha condotto alla scoperta degli aspetti più
interessanti della biografia dello scrittore, premio Nobel per la letteratura
nel 1959;
il fanciullesco entusiasmo nel fare incursione nei bar sul lungomare
di Santa Teresa di Riva per
assaggiare quanti più gusti possibili di granite (…a proposito eleggo quella al
pistacchio la mia preferita…ma se la batte alla grande con quella alla mandorla
e con quella al caffè…). In verità, si potrebbe dire che c’è la granita giusta
per ogni momento della giornata.
E
ancora l’impegno degli animatori per cercare di pungolare la pigrizia del
“turista spiaggiato”, la magia dei tramonti da gustare dopo la calura del
giorno, il fascino di un cielo che lontano dalle luci cittadine, si può
scoprire magnificamente stellato.
Un quadro che si può ammirare soprattutto in
vacanza quando, lontani dal tran tran e resi centrati dalla mancanza dell’altro
a cui pensare, ci si può concentrare su ciò che, in realtà, conta davvero: la
natura che ci vive attorno, il cielo sopra le nostre teste, il tempo che
scandisce le nostre vite, ovunque siamo e qualunque cosa stiamo facendo. Il
viaggio serve, o dovrebbe servire, anche a questo: ritrovare il senso del nostro
Tempo.
Scusate
se per accompagnare questo post oggi vi propongo solo un piatto di frutta
fresca…ma è estate, fa caldo, c’è il mare, la piscina, i tuffi e la tintarella
nel menù quotidiano di molti di noi. E allora, ogni tanto, si possono anche
spegnere i fornelli o no??! ;-)
SCHERZO!!!!!
Quando
la temperatura sale, possiamo semplicemente scegliere di ridurre al minimo gli
ingredienti e i passaggi in cucina. E allora cosa c’è di meglio di un piattino
di pasta di grano saraceno condito con del pachino fresco e una spolverata di
origano?
Del
resto, anche il sapore di questo piatto ha un vago retrogusto di Sicilia…;-)
Ingredienti
-
pasta di
grano saraceno
-
pomodori
pachino
-
olio
evo, sale, origano
Mentre
cuoce la pasta, fate saltare i pomodori pachino tagliati a spicchi in un po’ di
olio, una spolverata di sale e origano.
Condire
la pasta con il sughetto di pomodoro. Semplicissimo. A prova di calore.
Ciao Sicilia, alla prossima vacanza....
Ciao Sicilia, alla prossima vacanza....