martedì 21 luglio 2015

SICILIA IN TASCA


Della mia recente vacanza in Sicilia vorrei riuscire a trasmettervi suoni, odori, colori e sapori ma, dato che certi limiti della comunicazione non sono ancora stati superati, posso solo tentare di offrirvi descrizioni sommarie nella speranza di solleticare quel gusto della scoperta che magari vi spingerà, se ancora non l’avete fatto, a partire per una terra che merita di essere scoperta poco alla volta, sempre più in profondità, talmente ricco e suggestivo è il suo bagaglio di offerte.
La Sicilia è una terra selvaggia, selvatica, vergine, senza fronzoli… con le sue “opere incompiute” pare schiaffeggiarti trascinandoti nelle più crude realtà e, poco dopo, è lì ad accarezzarti con la dolcezza delle sue granite e delle sue “brioche con il tuppo”.

Girandola, pare di immergersi dentro un quadro impressionista o tra le pagine dure e vere di verghiana memoria.
In sette giorni ho riempito gli occhi di panorami mozzafiato.

Ho iniziato prendendo confidenza con le acque cristalline e le spiagge di ghiaia fine di Roccalumera per poi restare affascinata dalla raffinata eleganza di Taormina. Qui mi sono tuffata nella storia con la visita all’antico teatro greco: un teatro affacciato sul mare, con suggestioni ed echi di un antico splendore che escono da ogni sua più piccola pietra.

Un arancino delizioso agli spinaci presso lo “Strit Fud” e il più goloso cannolo mai assaggiato alla Pasticceria del corso è stato il bottino alimentare della giornata a Taormina. 

Mentre per il reparto “profumi e balocchi” non potevo non cedere all’aroma agrumato e selvaggio della sua acqua profumata. Ogni spruzzo di quel profumo mi riporterà con la memoria al centro di quella piazzetta pavimentata a scacchi bianchi e neri e affacciata sul mare. Da quella piazzetta, dove tra l’altro c’è un bar ricco di storia dove Goethe passava il tempo a bere il suo caffè, si può ammirare la costa del Mar Ionio, la Baia di Naxos e il possente Vulcano Etna.

Nei vicoli si susseguono botteghe, ristoranti con vedute panoramiche, locali da dove provengono svariati sottofondi musicali, da quelli melodici a quelli in chiave jazzistica. Può capitare di ascoltare le note semplici di un anonimo artista di strada o quelle più colte delle ballate liriche, spesso in programma nel cartellone del teatro antico.



Scendendo da Taormina con la funivia mi sono fermata per un bagno presso l’Isola bella, famosissimo e suggestivo isolotto, ricoperto da una rigogliosa vegetazione e istituito a riserva naturale. La lingua che collega la spiaggia di Mazzarò all’isola (che dall’alto pare di sabbia ma che in realtà è di ghiaia) è un invito a tuffarsi nell’acqua cristallina.



A Catania, appena arrivata, mi sono immersa nella realtà caotica, ma affascinante dei mercati popolari: gente che ti vuole far assaggiare “la qualunque”, che ti mette in mano una cozza spruzzata di limone e pare voglia farti uscire dalla bambagia per svezzarti con la legge dell’adattamento.

Girando per la città ho vissuto i forti contrasti di una città che ho associato per alcuni aspetti a Napoli e per altri a Lecce. La compostezza di alcune zone, come quelle adiacenti il rigoglioso giardino Bellini e la zona universitaria si scontra con l’aspetto aggressivo di molte costruzioni periferiche, nate dal nero della pietra lavica e in molti casi non ultimate e la desolazione di certe spiagge che l’incuria umana ha reso degli immondezzai all’aperto.






Sulla città di Catania domina, assoluto, l’Etna. Spesso l’afa non ne rende visibili completamente i profili, ma vi assicuro che anche i contorni appena accennati sono in grado di suscitare un misto di timore e riverenza, come quello che si proverebbe davanti ad un mostro addormentato sulla montagna, dal duplice fare minaccioso e protettivo.

C’è stata anche la visita a qualche set cinematografico di tutto rispetto, come quello al piccolo borgo di Savoca, arroccato su un crinale a 300 metri di altitudine dove, in piazzetta, ho potuto gustare una deliziosa granita al limone (con tanto di biscottino ai semi di sesamo) presso il Bar Vitelli dove furono girate alcune scene della saga cult de “Il padrino” e che ancora oggi trasmette ab libitum la colonna sonora del film che lo ha reso celebre in tutto il mondo.

E poi come scordare gli scorci offerti da Tindari? Famosa per il suo Santuario con la Madonna nera, situato sulla cima più alta del paese a strapiombo sul mare, è una località suggestiva anche per le sue lingue di sabbia situate alla base del promontorio, alcune delle quali raggiungibili solo via mare.

Proprio in quelle acque mi sono donata la nuotata più bella e più lunga: intorno a me solo acqua trasparente, spiagge incontaminate, il suono delle onde e, citando i versi di una canzone di Irene Grandi, “la voglia di non tornare più” (a riva…aggiungo io).

Dopo la nuotata, tappa d’obbligo al Bar del Pellegrino: arancino al pistacchio, specialità del posto, accompagnato come sempre dal sorriso aperto e dalla cortesia del personale. Le persone con le quali mi sono trovata ad interagire (in albergo, nei bar, nei ristoranti, all’interno dei siti archeologici, ecc.) si sono mostrate sempre disponibili a fornire chicche e curiosità sulla loro terra. La voce di chi vive i posti vale molto di più di qualunque altra voce enciclopedica.



Da ultimo, come in un quadro emozionale posso tentare di sfumare i colori di alcune esperienze fatte tra una gita e l’altra: l’energia mattutina che mi spingeva a correre lungo il mare di Roccalumera, quando la linea dell’orizzonte pare riconciliare ogni pensiero con la realtà; 

la commozione provata durante la visita al Parco Letterario dedicato a Salvatore Quasimodo dove un ragazzino sveglio ed appassionato ci ha condotto alla scoperta degli aspetti più interessanti della biografia dello scrittore, premio Nobel per la letteratura nel 1959;

il fanciullesco entusiasmo nel fare incursione nei bar sul lungomare di Santa Teresa di Riva per assaggiare quanti più gusti possibili di granite (…a proposito eleggo quella al pistacchio la mia preferita…ma se la batte alla grande con quella alla mandorla e con quella al caffè…). In verità, si potrebbe dire che c’è la granita giusta per ogni momento della giornata.


E ancora l’impegno degli animatori per cercare di pungolare la pigrizia del “turista spiaggiato”, la magia dei tramonti da gustare dopo la calura del giorno, il fascino di un cielo che lontano dalle luci cittadine, si può scoprire magnificamente stellato. 

Un quadro che si può ammirare soprattutto in vacanza quando, lontani dal tran tran e resi centrati dalla mancanza dell’altro a cui pensare, ci si può concentrare su ciò che, in realtà, conta davvero: la natura che ci vive attorno, il cielo sopra le nostre teste, il tempo che scandisce le nostre vite, ovunque siamo e qualunque cosa stiamo facendo. Il viaggio serve, o dovrebbe servire, anche a questo: ritrovare il senso del nostro Tempo.

Scusate se per accompagnare questo post oggi vi propongo solo un piatto di frutta fresca…ma è estate, fa caldo, c’è il mare, la piscina, i tuffi e la tintarella nel menù quotidiano di molti di noi. E allora, ogni tanto, si possono anche spegnere i fornelli o no??! ;-)



  
SCHERZO!!!!!
Quando la temperatura sale, possiamo semplicemente scegliere di ridurre al minimo gli ingredienti e i passaggi in cucina. E allora cosa c’è di meglio di un piattino di pasta di grano saraceno condito con del pachino fresco e una spolverata di origano?
Del resto, anche il sapore di questo piatto ha un vago retrogusto di Sicilia…;-)


Ingredienti
-       pasta di grano saraceno
-       pomodori pachino
-       olio evo, sale, origano

Mentre cuoce la pasta, fate saltare i pomodori pachino tagliati a spicchi in un po’ di olio, una spolverata di sale e origano.
Condire la pasta con il sughetto di pomodoro. Semplicissimo. A prova di calore.

Ciao Sicilia, alla prossima vacanza....


e a voi: