venerdì 26 aprile 2013

CIBI ED EMOZIONI...



"Fa che il Cibo sia la tua Medicina
e che la Medicina sia il tuo Cibo" (Ippocrate)

 Perché ignorare i piccoli piaceri del quotidiano? E se un buon pasto è uno di questi, perché al cibo che ingeriamo dedichiamo spesso così poca attenzione? Spuntini consumati con distrazione, continuando a fare altre ottocentomila cose (l’occhio al computer o alla tv, una mano sul cellulare, l’orecchio a captare qualche notizia).
E così il pranzo, ingurgitato magari in piedi, al bancone di un bar o la cena che da prezioso momento di condivisione nel corso della giornata diventa essa stessa un sottofondo, mentre il primo piano viene occupato dalle immagini catastrofiche dei tg o da qualche programma demenziale e indigesto. Si ribalta l’importanza delle cose, vengono vanificate le priorità.
Non voglio dire che non ci si debba affacciare sul mondo, ma quantomeno bisognerebbe riuscire a mettere il giusto distacco in quella visione, e mantenere attiva la nostra presenza in quello che stiamo facendo (nel caso, “ci stiamo nutrendo”).  
Sembra sempre che ci siano cose molto più importanti da fare o di cui occuparsi rispetto al gesto tanto essenziale ed importante del nutrirsi.
Ma qualcosa che entra addirittura nel nostro corpo, che è destinato a darci piacere, nutrimento ed energia non merita la giusta attenzione che si concederebbe ad un ospite atteso e gradito?
Spesso certi disturbi digestivi nascono proprio dall’emozione provata mentre ci stiamo nutrendo.
Insieme al cibo ingeriamo l’ansia, la fretta o il nervoso con cui ci accostiamo alla pausa pranzo o cena.
Dovremmo concederci il pasto in tranquillità, mettere in stand by le preoccupazioni almeno per il tempo della digestione.
Certo l’ideale sarebbe ammorbidire il proprio atteggiamento sempre, non solo a tavola, ma in questo post voglio focalizzare l’attenzione a quel momento specifico in cui siamo impegnati nella masticazione. 
Altrimenti è inutile limitarsi a prendere due foglioline di insalata o un riso lesso o una fettina di tacchino (cito dei piatti ai quali tradizionalmente si accosta chi pensa di non poter digerire altro…). Anche quei cibi, se mangiati con una predisposizione “sbagliata”, diventeranno macigni sul nostro stomaco. Perché l’ambiente che abbiamo riservato loro è già stato “contaminato” dalle nostre emozioni.
Allora meglio fare prima dei respiri profondi, fare una passeggiata, ossigenarsi. Insomma cercare di smaltire prima quelle sensazioni di fastidio e solo successivamente aprire la porta, e la nostra bocca, agli ospiti alimentari.
Iniziare il pasto con un'insalata di verdure crude è una buona abitudine: innanzitutto così facendo si prepara lo stomaco, poi si mettono in moto particolari enzimi che migliorano la digeribilità dei cibi introdotti successivamente.
Inoltre è un modo per prendersi il giusto tempo: il tempo per prepararla, il tempo per masticarla; e poi mi piace pensare che il trionfo di colori dentro al piatto ci possa predisporre meglio e con più leggerezza al resto del pasto.  

Ingredienti:
- insalate miste
- carote
- finocchi
- pezzetti di mela (lasciate la buccia)
- qualche pisellino fresco
- semini misti (di zucca, girasole, sesamo, lino)
- olio, glassa di aceto balsamico

Riunite in una ciotola gli ingredienti, conditeli con un filo d'olio e di glassa di aceto balsamico e gustatela in tutta la sua freschezza e croccantezza.

lunedì 22 aprile 2013

...ANDARE E RESTARE...


"IN FUGA"

Scappare…
Da una città…da un rapporto…da una persona…DALLE persone…dalle situazioni…
Errare…
Correre, camminare, vagabondare per le strade, tra le idee, dimenarsi nella giungla di fantasie confuse…
Perdersi,
SPIRITO senza meta, ANIMA senza dimora, CORPO senza materia…
poi
ritrovare il filo o CREDERE di averlo trovato…
tentare di manovrare il burattino…
dargli una direzione…
uno scopo…
un impegno…
sostare
acquietarsi per un po’…
poi qualcosa riaccende la miccia…
e la sua scia di fuoco ci conduce verso un rinnovato SQUILIBRIO…
allora ributtare all’ARIA i pezzi di sé…
come perle di una collana che stringeva troppo intorno al collo…
in fuga da cosa? Da chi?
Dal senso di DEFINITO?
Dalla paura dell’INDEFINITO?
Terminerà la fuga all’alba,
nel chiarore di quel giorno
in cui non cercherai risposte interrogando solo la mente,
ma saprai rivolgere le giuste domande al tuo cuore…
Terminerà la fuga al tramonto,
nell’ombra di quella sera
in cui non disperderai astrattezza nei terreni del domani,
ma riuscirai a coltivare nella realtà dell’oggi
i semi della tua evoluzione…
terminerà la fuga
quando ti accorgerai che ovunque tu vada
ti porti dietro quei nodi che al vento non hai saputo sciogliere,   
capirai che puoi anche restare perché non esiste un luogo dove non si provi dolore,
ed al tempo stesso in ogni dove ci può essere gioia, bellezza e stupore…

E un piccolo stupore di una giornata qualunque può racchiudersi anche nella semplicità di un biscotto che, pur non contenendo i consueti ingredienti, è in grado di donarci una pausa dolce e friabile.


 Ingredienti:
-       200 gr farina di kamutt
-       100 gr zucchero di canna
-       30 ml di olio di mais
-       ½ cucchiaino di vaniglia in polvere
-       Un pizzico di sale
-       ½ bustina di lievito cremor tartaro
-       Pezzetti di cioccolato fondente
-       Latte di soia o di riso

Preparazione:

Semplicemente riunire tutti gli ingredienti in una ciotola e impastare, regolando la densità con il latte (o la farina). Deve risultare un impasto morbido, ma non appiccicoso.
Stendere l’impasto non troppo sottile, formate i biscotti con le apposite formine (non fateli troppo sottili) e infornate a 180^ per 10/15 minuti.
Buona merenda!

martedì 16 aprile 2013

ATMOSFERE PRIMAVERILI

(*)

"Lentamente la luce del giorno inizia ad attardarsi…
Cala il sipario solo sul far della sera,
sosta più a lungo nel cielo il sole:
si cambia stagione…
si ripongono i maglioni,
c’è voglia di leggerezza,
di brezza di mare,
di seta, di lino, di serate in terrazza.
Di colori pastello si tinge la tela
e con rinnovato entusiasmo spieghiamo le vele,
anche il cuore si toglie il cappotto
accorda il suo battito per un dolce minuetto
l’inverno è passato e l’estate è vicina
la primavera porta fiori e suoni di violini…"

E la primavera ci fa venire anche voglia di sapori più delicati, di piatti più leggeri.
Oggi vi propongo medaglioni di seitan marinati agli agrumi, preparati esattamente come se si trattasse di scaloppine.
Le apparenze ingannano, ma quando si tratta di inganni del genere, che ben vengano! Nell’equivoco si cela, in realtà, una verità salutare...;-)


 Ingredienti:
-      medaglioni di seitan (si acquistano nei negozi di alimentazione naturale)
-       farina di kamutt (per infarinare)
- 1 arancia, 1 limone 
-       origano (o erba aromatica a scelta)
-       un pizzico di sale, un filo d’olio

Preparazione:
Marinate per un paio di ore i medaglioni di seitan in una ciotola, coperti da succo di 1 arancia e di 1 limone e spolverati di origano e un pizzico di sale.
Fate scaldare un filo d’olio in una padella antiaderente.
Infarinate i medaglioni da entrambi i lati, rosolati in padella (girandoli un paio di volte), aggiungete il succo di marinatura e fate evaporare.
Serviteli caldi con un contorno a scelta.

* (quadro "Ramo di mandorlo in fiore" di Van Gogh) 

giovedì 11 aprile 2013

...ALLA FONTE DELLE PAROLE...


Ci sono parole che sembrano elevate al cubo…è difficile calcolarne la portata. Sono le parole non chiare, le cose dette, ma che emettono un suono palesemente falso, frasi masticate tra i denti che hanno il sapore dell’ipocrisia.
Altre sono così vane che non si poggiano proprio sopra l’orecchio. Nemmeno lo sfiorano, per fortuna.
Poi ci sono parole leggere, setose, che accarezzano l’udito e penetrano piacevolmente nel corpo come una brezza di mare che sfiora il viso mentre stai passeggiando su un viale costeggiato di palme.
Non sono molto diffuse.
Capita di sentirle pronunciate una dietro l’altra, in fila, quasi a formare un periodo carezzevole, solo una volta ogni tanto. Quelle parole ci trovano nei giorni di stupore, quando un guizzo di umanità riesce a raggiungerci; nei giorni di coraggio, quando una frase sincera ci sprona ad avere speranza; nei giorni della nostra primavera, quando i fiori germogliano sui rami e i buoni propositi sembrano coltivarsi da sé, senza sforzi di convincimento, senza innesti o provocazioni. Sono le parole di amore, che sanno dare un senso al nostro essere qui per fare esperienza di condivisione. Se non fosse necessario, avremmo immaginato isole, e nel tempo queste si sarebbero trasformate nel nostro spazio vitale. Invece viviamo in paesi, città e nazioni, viviamo circondati da persone, e con queste entriamo in contatto, e attraverso lo scambio e il confronto con esse, possiamo imparare o insegnare. Ognuno è allievo e maestro, al tempo stesso. Ognuno può dare e ricevere. Ma bisogna avere occhi attenti, udito acceso, mani protese. E non avere paura dell’essere o diventare responsabili. Ogni cosa che diciamo, che facciamo, può essere l’anello di una reazione a catena. Tenerne conto, significa prendere consapevolezza del proprio valore, del contributo che possiamo apportare a questo disegno che è la vita.
Oggi il mio contributo alla vostra colazione (o merenda) ha le sembianze di una bella fetta di crostata alla crema di limone.
Una crostata vegan, senza latte, uova o burro. Anche la crema di limone è stata preparata senza l’impiego di questi ingredienti. Un esperimento che potete fare anche voi, se vi va di preparare qualcosa di sano, leggero e gustoso.

 

Ingredienti per la frolla

  • 200 g di farina di Kamutt (di cui metà integrale)
  • 50 g di zucchero di canna
  • 50 ml di olio di mais
  • 1 pizzico di sale
  • la buccia grattugiata di 1 limone
  • 1 cucchiaio di succo di limone
  • latte di soia alla vaniglia (quanto basta per impastare)
  • 1/2 busta di cremortartaro

Preparazione

Mescolare le farine, lo zucchero, la buccia di limone grattugiata, il sale e la mezza bustina di cremortartaro. Aggiungere il succo di limone, l'olio e il latte di soia. Impastare bene e formare un panetto morbido. Potete stenderla subito in una teglia oliata e infarinata (tenendo da parte un po’ di impasto per le striscette), aiutandovi con le mani e bucherellando la superficie con una forchetta. Preparate la crema di limoni(*). Versatela sul fondo della frolla, decorate con strisce di frolla e infornate a 180^ circa per 35/40 minuti.

(*) Ingredienti per la crema di limoni:

- 150 ml di latte di soia alla vaniglia
- 30 gr di fecola di patate
- 90 gr zucchero di canna
- scorza e succo di 1 limone

Preparazione:
Mischiate bene in un pentolino il latte di soia, la fecola, lo zucchero e la scorza di limone. Fate cuocere a fuoco basso, continuando a mescolare, per evitare la formazione di grumi. Una volta portato a bollore, spegnete il fuoco, aggiungete il succo di limone e mischiate con cura la crema.

venerdì 5 aprile 2013

ALTROVE...O SEMPLICEMENTE QUI...


Tempo fa lessi un libro dal titolo “Il rumore della pioggia a Roma” (…ultimamente direi un rumore alquanto frequente…) di John Cheever.
Su tutto mi colpì una frase: “quando si va via da un luogo per cercarne un altro…li si perde entrambi”.
Vivo sulla mia pelle il tumulto interiore che  provoca il trasferirsi in un’altra città rispetto a quella nella quale si è nati, l’adattarsi ad un nuovo ambiente, la conquista “ad honorem” di una residenza; e non mi riferisco certo a quella sancita da un certificato burocratico, ma a quella che si avverte quando ci si sente in pace, o almeno in armonia, con l’ambiente, geografico, umano, culturale, sociale, folkloristico intorno.
Un tempo ero quasi rassegnata all’idea che ci sarebbe sempre stato qualcosa che non avrebbe quadrato nel mio rapporto con i LUOGHI (lasciati e trovati);  quel qualcosa mi sembrava contenuto nel desiderio di propendermi sempre altrove, ma poiché “altrove”, è una meta irraggiungibile, non avrebbe mai potuto trovare soddisfazione, qualunque treno o direzione avessi preso. Oggi ho un pensiero diverso rispetto alla mia collocazione fisica nel mondo.
I luoghi non hanno più una rilevanza determinante del mio sentirmi arrivata. Per la verità non sono protesa ad arrivare da nessuna parte, che non sia semplicemente la terra dove poggiano i miei piedi.
È cambiata la mia prospettiva. Non bado più alla mia posizione nel mondo, ma al mio essere qui, ora, a prescindere dalla posizione stessa.
Il titolo di un altro libro, “Dovunque tu vada, ci sei già” di Jon Kabat-Zinn, descrive bene quella che è la mia aspirazione di oggi.
Non serve cercare nei luoghi, nelle condizioni esterne l’altrove che può renderci felici.
Il luogo a cui anelare è dentro di noi. Spesso è inaccessibile, perché neghiamo a noi stessi di prenderne parte.
Allora creiamo barriere, sovrastrutture, condizionamenti, arriviamo a sentirci stranieri, fuori posto, fuori luogo. E arriviamo a credere che solo cambiando le coordinate spaziali, potremo essere liberi e felici.
Ma se a cambiare non è il nostro atteggiamento, se non diventiamo sempre più ciò che siamo, se non coltiviamo il coraggio di seguire le nostre ispirazioni al di là dei tempi e dei luoghi, non servirà a niente andare altrove. Anche lì, altrove, ci raggiungerà il senso di disadattamento, di frustrazione, di sterile insoddisfazione. E questo perché ci continueremo a negare l’accesso all’unico posto in cui possiamo sentirci a nostro agio, sempre: la nostra anima.
Ci occupiamo del contesto, anziché cercare di prendere sempre più dimestichezza con le nostre aspirazioni. Disperdiamo energie a immaginare luoghi salvifici, lontano da noi, lasciandoci attrarre dal gusto poco responsabilizzante dell’altrove, anziché imparare a sfruttare le potenzialità della terra che già calpestiamo. Sogniamo mete lontane, intanto la nostra vita scorre sotto i nostri piedi e noi non la sentiamo più, non sentiamo né il rumore della pioggia, né quello dei nostri passi. Disattenti attraversiamo i luoghi, noncuranti calpestiamo l’erba. E poi, speriamo di ritrovarla più verde nel giardino di qualche nostro vicino (di casa, di città, di nazione).

“Tutto quello che è qui è altrove, tutto quello che non è qui non è da nessuna parte…” (Vishvasara Tantra)

Passando da un luogo all’altro, ora ci trasferiamo in cucina.
Vi propongo un plum cake molto essenziale, dai pochi ingredienti, ma dal gusto decisamente adatto alla colazione mattutina.


PLUM CAKE VEGAN
 
INGREDIENTI:

-       200 gr di farina di kamutt
-       2 cucchiai di fecola di patate
-       100 ml di sciroppo d’agave
-       80 ml di olio di mais
-       il succo di una arancia
-       50 gr di cioccolato fondente fuso
-       1 bustina di lievito biologico (cremor tartaro)
-       Qualche cucchiaio di latte di riso o di soia
-       zucchero di canna (da spolverare sopra il dolce prima di infornarlo)
  
Spremete l’arancia. Riunite in un boccale gli ingredienti liquidi (sciroppo d’agave, olio, succo di arancia).
In un recipiente versate la farina (potete anche mischiare farina normale e integrale), la fecola e il lievito; versare poi i liquidi e delicatamente mescolate.
Aggiungete anche il cioccolato fuso e se occorre regolate la densità con un po’ di latte di riso o di soia (l’impasto non deve essere né troppo denso, né liquido).
Versate in uno stampo oliato e infarinato e cuocete a 180^ circa per 35/40 minuti (fate la prova stecchino per controllare la cottura).